Cinema e psicologia



Analisi del film Shame a cura di Nica Raffo


Sulla libertà e sul potere
Sulla libertà e sul potere

In questi giorni trascorsi forzatamente a casa, a causa dell'emergenza sanitaria, la riflessione sullo stare “dentro”, sembra quasi obbligata.

Per questa ragione mi è tornato in mente un film che in qualche modo evidenzia prepotentemente quanto stare in contatto con se stessi, “sentirsi”, possa nella migliore delle ipotesi, rivelare alcune fragilità personali, mentre, nei casi peggiori, rivelarsi come una sorta di trappola, in cui non si ha scampo da vissuti che tendono a ripetersi identici, senza possibilità di cambiamento.

Il tempo trascorso in casa durante questa quarantena è il tempo del fuori che ci è stato sottratto (furto della libertà), o un inusitato spazio vuoto che non sappiamo collocare nel nostro mondo interiore?

Potremmo addirittura parlare di “paradosso della libertà”, in cui avere forzatamente del tempo di cui disporre, diventa elemento di disorganizzazione interna o di riattualizzazione di emozioni correlate a esperienze pregresse di coercizione/castrazione.

Che cosa significa essere liberi?

Il film a cui ho pensato riflettendo su questo argomento è Shame, un lavoro di Steve McQueen del 2011.

Il protagonista, Brandon, ha un appartamento elegante, un buon lavoro ed è un uomo affascinante che non ha difficoltà a piacere alle donne. Apparentemente potrebbe essere considerato un uomo di successo con una vita appagante.

Attraverso i suoi incontri occasionali e la sua frequentazione di prostitute, in un quadro complessivo di asservimento al sesso, scopriamo il suo grave problema di dipendenza, che gli impedisce di condurre una relazione sentimentale sana: un vero e proprio inferno di pulsioni compulsive.

Brandon può comprarsi tutto e subito: una escort, una stanza d'albergo, riviste porno. E' libero di dare pieno sfogo alle proprie incontrollabili pulsioni, ma è proprio questa la sua prigione.

Sissy, sua sorella, sembra più in contatto con la propria affettività : ricerca attivamente l’affetto e la presenza del fratello che resta più rigido, quasi gelido rispetto a queste dimensioni. Tuttavia con la densità del suo sentire, la giovane manifesta a sua volta instabilità emotiva in un quadro complessivo di dipendenza affettiva. Il suo arrivo, in città, lascia intuire un rapporto ambiguo tra i due, forse incestuoso ed apre nel protagonista una significativa breccia all'affettività, sino a quel momento abbastanza preclusa al suo intimo. La sequenze del film che dipinge particolarmente bene questo passaggio è quella in cui lui acconsente ad andare a sentirla cantare in un locale in città, dove si esibisce. Si tratta di un’occasione con la quale il regista non si limita a mostrare in modo angosciante le dimensioni del mondo interiore dei protagonisti, ma fa letteralmente immergere al loro interno lo spettatore.

Liza Minnelli ha cantato New York, intonandola con scoppi di entusiasmo e guizzi vitali, inneggiando alle nuove possibilità che la città offre a chi vi si trasferisce da luoghi più tristi. Il modo in cui Sissy intona "If I can make it there, I'll make it anywhere" è lento, paludoso, al punto che il suo canto non sembra finire mai. La comunicazione analogica, resa ancora più drammatica dal profondo contrasto tra le parole cantate ed il modo in cui sono interpretate, inchioda l'esecutrice del pezzo ad una triste verità : futuro, opportunità, vita che scorre, sono miraggi. Quel cantare inciampando continuamente nella stessa sensazione deprimente monocorde, racconta un vivere perennemente il medesimo pantano esistenziale. Nessuna possibilità di cambiamento all'orizzonte.

Tuttavia è proprio questa l’occasione che smuove un’emozione in Brandon, spingendolo a cercare un contatto con un altro essere umano in modo diverso, fuori dalla carnalità vuota e ripetitiva dei suoi giorni.

Sino a questo momento nelle scene relative ai rapporti sessuali del protagonista, il suo sguardo non incontra mai quello della propria partner di turno, è proiettato oltre, fuori dalla finestra, mentre “possiede il vuoto”. Un desiderio senza Legge, una spinta a godere senza orizzonte, autistica, mortifera, senza alcun legame con l'Altro, senza possibilità di amore.

Alle prese con un vero e proprio appuntamento con una donna che cerca il contatto visivo con lui, mostrandosi interessata a conoscerlo, Brandon è in evidente disagio, quasi imbarazzato.

Marianne, rappresenta una figura consapevole dei rischi a cui espone una relazione, ha concluso un matrimonio dopo aver cercato di farlo funzionare, e sa che i rapporti richiedono impegno e fatica.

Anche Brandon a questo punto del film, sembra volerci provare: mentre i due iniziano a frequentarsi, cerca di “fare pulizia”, gettando nell’immondizia riviste pornografiche e qualsiasi cosa appartenga alla propria erotomania, come se volesse metaforicamente sbarazzarsi della tossicità della propria coazione a ripetere esperienze sessuali, ostacolo a un incontro autentico.

Giunto il momento del primo rapporto sessuale con questa ragazza, alle carezze e ai teneri baci di lei, che cerca i suoi occhi offrendogli i propri, questi propositi vacilleranno per poi letteralmente andare in pezzi. Un contatto più profondo ed affettivo con l’Altro gli impedisce di avere un’erezione, esperienza che Brandon evidentemente considera insostenibile per il mantenimento dell'integrità del proprio Sé. La dimensione del contatto profondo, ricercata per uscire dalla prigione della coazione a ripetere, nella direzione di una maggiore libertà di espressione di parti di se stesso, risulta fortemente compromessa nella sua struttura caratteriale.

Dopo il tentativo fallito con Marianne, Brandon si preoccupa subito di rivolgersi a una prostituta per essere sicuro di funzionare ancora, innescando una spirale di ingaggi sessuali, sempre più incontrollabili, e sempre più promiscui, sino a quando non sopraggiungerà un evento esterno che per intensità supererà il terremoto interno del precedente. Sissy, dopo che Brandon l'aveva allontanata dal proprio appartamento, per essere andata a letto con il suo capo, tenta il suicidio.

Qualcosa si spezza dentro di lui dopo questo tentativo al quale la sorella comunque sopravvive. A raccontarlo è l'ultima sequenza. Volutamente si ritorna a una situazione già mostrata quando il personaggio principale veniva presentato nei suoi tratti peculiari. In metropolitana, coinvolto in un gioco di sguardi con una bella ragazza, l'aveva inseguita fuori, con gli occhi di chi accetta una sfida.

L'ultima scena riprende lo stesso uomo nella stessa situazione. Quel guizzo ha lasciato il posto alla disperazione immobile di occhi che, ora non si limitano a fissare il vuoto, ma in qualche modo se ne colorano.

Volendo inquadrare la tipologia caratteriale dei due protagonisti potremmo dire che sebbene Sissy possa permettersi di esprimere maggiormente la propria affettività, forse anche in virtù del fatto che, ha quantomeno avuto il fratello accanto, è più in balia di oscillazioni umorali sopra soglia. Brandon è più strutturato, più rigido e quindi più difeso rispetto a questo tipo di caduta depressiva. Probabilmente una maggiore mobilità delle dimensioni affettive potrebbe mettere a repentaglio l’equilibrio strutturale da lui raggiunto, seppure disfunzionale e per questo è percepita come un reale rischio di disgregazione. Sia lui che la sorella vivono la sessualità in modo consumistico e questo lascerebbe supporre che a loro volta siano stati usati o ab-usati narcisisticamente dalle loro figure di riferimento o che queste siano state talmente rarefatte da non aver consentito un attaccamento, in grado di fornire solidità al sé. Ecco perché un’esperienza affettiva intensa e autentica risulta, non solo insostenibile per Brandon, ma destabilizzante al punto da fargli temere di andare in pezzi.

Lo stretto rapporto tra identità e sessualità è evidente. Quest'ultima qui vissuta all’insegna degli aspetti idraulici della sua funzione è, nella sua reiterazione “senza occhi”, segno di una mancanza di coesione e solidità tra le varie parti del Sé.

Prima di concludere vorrei tornare sulle riflessioni sulla complessità del concetto di libertà con cui ho aperto questo scritto. Come raccontato dal film, si tratta di un'esperienza ben lontana dal “poter fare ciò che si vuole” con cui spesso è confusa. Sentirsi liberi è un'esperienza radicata nell' intimo che scaturisce, contrariamente a quanto si immagina, da una buona “organizzazione” interna e non dall'assenza di organizzazione, come purtroppo spesso si è portati a pensare.

Per Reich il carattere è la struttura tipica dell'individuo e rappresenta il suo modo di agire e reagire stereotipato di fronte alle situazioni della vita. Un meccanismo di protezione che si forma nella primissima infanzia, strutturandosi attraverso una serie di atteggiamenti ripetitivi mirati a controllare l'espressione delle emozioni.

L'indurimento caratteriale generalmente non consente un' espressione di se libera e piena: per non sentire se stessi, i propri desideri e le proprie spinte pulsionali, si impara a contrarre muscoli e tessuti, generando un'armatura muscolare che è l'equivalente somatico dell'armatura caratteriale. La corazza ha la tendenza a non evolversi, seguendo lo sviluppo dell'individuo durante il corso della propria vita. In questo modo cessa di svolgere il suo ruolo di difesa e si trasforma in un limite alla libertà e al sentire dell'individuo. La struttura caratteriale dell'uomo libero invece è caratterizzata da una buona armonia tra Es e super -Io, da flessibilità, e questo le consente di sperimentare le diverse situazioni della vita; sa aprirsi intensamente al mondo allo stesso modo in cui sa anche chiudersi dinanzi ad esso, sa abbandonarsi al sentire senza la paura di perdervisi.

“Shame” in italiano si traduce con la parola “vergogna”, emozione dell’autoconsapevolezza. La struttura caratteriale, la storia della persona, il modo in cui i vissuti si sono fatti rappresentazione di sé e della realtà, condiziona la valutazione della propria adeguatezza, al punto che la vergogna può permeare l’intero vissuto dell’individuo e farsi totalizzante e paralizzante. L’individuo che la sperimenta mette in discussione il “come sono”, e questo, in presenza di traumi, o esperienze prolungate di umiliazione pregresse, può minare l’integrità del sé e delle proprie capacità. Le persone che sperimentano nel profondo della propria interiorità la sensazione di avere qualcosa che non va, di non essere sufficientemente adeguate o degne di essere amate, vivono con dolore il rapporto con gli altri, manifestando un atteggiamento di insicurezza, o al contrario, una falsa sicurezza. La paura di rivelare questa fragilità agli altri, a volte negata anche a se stessi, può avere come conseguenza l’orientarsi verso stili di vita caratterizzati dal distacco dagli altri o da parti di sé, come nel caso del protagonista di questo film.

In una psicoterapia si accetta più o meno consapevolmente di correre il rischio di lasciarle emergere, di vederle e mostrarle al terapeuta, poiché questo rappresenta il passaggio obbligato, affinché il processo di maturazione di quelle parti possa realizzarsi. In molti casi avere nuove possibilità di movimento rispetto alla rigidità dei propri schemi comportamentali è il primo passo per delineare nuovi confini del proprio mondo interiore ed un senso di libertà maggiore. 

 

 



Analisi del film Anomalisa a cura di Nica Raffo


Relazioni, traumi, coesione del se, forza dell'Io
Sulla solidità dell'Io legata alla sua capacità di rielaborare le esperienze traumatiche

Charlie Kaufman, aveva avviato in Se mi lasci ti cancello una riflessione sui rapporti umani e sull'amore, evidenziando la tendenza degli individui a confondere la crudeltà del destino con la propria incapacità ad accettarne l'imperfezione.

Anche in Anomalisa, film d'animazione del 2015, il protagonista sente che qualcosa finisce perennemente con l'intralciare la sua personale ricerca della felicità.

Michael Stone, autore di manuali per la gestione ottimale dei clienti, si sta dirigendo a Cincinnati per una conferenza.

Sin dalla prima sequenza una vaga sensazione di disagio prende forma nello spettatore divenendo più nitida di pari passo con il delinearsi di un elemento determinante della narrazione: tutti intorno al protagonista hanno lo stesso viso e la stessa voce maschile, anche i personaggi femminili e i bambini. Il protagonista è l'unico ad avere una fisionomia ed una voce diversa ed insieme a questo dato, nello spettatore si fa strada l'impressione che egli sia afflitto da un qualche dolore, immerso in una specie di alone che sembra separarlo dal resto del mondo.

Lo seguiamo prima all'uscita dell'aeroporto, mentre ascolta in cuffia The Flower Duet [1], duetto di voci femminili, qui cantato invece da due voci maschili; poi in albergo, al “Fregoli” [2]. In queste scelte narrative e nei connotati androgini dei pupazzi del film, identici nell'aspetto e nella voce, il riferimento al genere, improntato alla confusione, all'indifferenziazione e alla rigidità, visti i suoi rapporti con la formazione dell'identità, delinea sin da subito una qualità delle relazioni che presenta il nostro protagonista come un soggetto in estrema difficoltà nell'incontro con l'Altro.

Michael trascorre tutta la vicenda ritenendosi diverso e temendo l'omologazione. Empatizziamo con lui quando sente il bisogno di confessare la propria pena ad una vecchia fidanzata, sperando che l'antico senso di intimità che lo univa a lei, possa creare ancora un ponte tra lui ed un altro essere umano; empatizziamo con lui tutte le volte che i personaggi con cui interagisce gli dicono che non hanno capito quello che ha detto, sottolineando quella sensazione di solitudine da lui emanata dal primo momento; parteggiamo per quest'uomo che appare diverso, isolato, unico, a differenza di tutti gli altri. Eppure siamo subito posti dinanzi ad una sensazione di straniamento.

Si tratta di sensazioni costruite ad hoc nello spettatore, proprio con l'intenzione di creare una percezione ambigua di quanto si compie sullo schermo, a partire dalla scelta di realizzarlo in stop motion.

Inoltre stiamo empatizzando con un cartone animato, anzi un pupazzo: la sua posizione nello spazio cambia attraverso lo scatto di una serie di fotogrammi di oggetti e disegni bidimensionali, addirittura al culmine di alcune scene lo vediamo perdere pezzi, scorgiamo gli ingranaggi che lo fanno funzionare.

Se consideriamo il Sé come un processo associativo emergente, che sorge dalla disponibilità a relazionarci l'uno con l'altro ed al suo radicarsi nel corpo, il regista, con questi stratagemmi, riesce a tradurre in immagini quello che potremmo definire un Io poco coeso. La dolorosa impossibilità di un contatto vero e il senso di solitudine disperante ad esso associato, sono il risultato di poca integrazione tra le parti differenti del Sé, determinando modalità di creazione di significato abbastanza fisse e rigide e aspettative sul futuro conflittuali.

L'esperienza del protagonista può essere accostata a quella di persone che chiedono aiuto e vengono in terapia perché vogliono proprio andare oltre questa sensazione di rigidità nel proprio modo di funzionare. Le loro previsioni limitanti, radicate nel passato, devono essere riviste ed aggiornate nel presente e chiedono di essere aiutati in questo.

Possiamo considerare l'appuntamento del protagonista con la sua ex fidanzata un tentativo di questo genere. Attraverso l'incontro con questo amore del passato, Michael, perduta la capacità di assaporare la vita e di godere delle relazioni, vorrebbe ricontattare il se stesso di un tempo più felice.

Chi intraprende una terapia spesso esprime il desiderio di tornare come prima, che significa voler continuare a fronteggiare la quotidianità, risolvere le nuove sfide che comporta, con gli strumenti che in passato hanno funzionato. La vita tende naturalmente a dissipare ordine in una continua tensione verso l'evoluzione, per questo occorre innanzitutto riconoscere che le strategie una volta funzionali, hanno perso il loro aspetto adattivo ed affinché questo possa accadere “il paziente deve prima di tutto rendersi conto che egli si difende, poi con quali mezzi si difende e infine contro che cosa si difende”, come diceva W. Reich, in Analisi del carattere nel 1933.

Michael sembra ancora molto lontano da questo tipo di consapevolezza. Oscilla tra il sentirsi diverso dagli altri o solo contro tutti, una percezione del mondo permeata da vissuti paranoidei. Il ricorso alla proiezione, che caratterizza questi ultimi, è finalizzato ad attribuire all'esterno caratteristiche appartenenti alla propria persona, perché ritenute cattive o poco integrate: la percezione di minacciosità deve cioè essere spostata all'esterno, per difendersi dalla possibile disgregazione del Sé.

L'indifferenziazione percepita all’esterno è quindi la proiezione di parti del Sé che vengono percepite come indistinte, poco sviluppate, proprio per mantenere un certo stato di omeostasi, una rassicurazione da livelli di minacciosità altrimenti insostenibili. In un mondo in cui tutti appaiono uguali, cosa potrebbe mai spingerci verso l'altro?

 Michael sembra piuttosto apatico, sino a quando non si imbatte nella diversità di Lisa, con la sua cicatrice sul volto e la sua voce da donna.

Questo incontro gli farà dire "Tu ed io siamo le uniche persone al mondo", attribuendo alle caratteristiche distintive della giovane, un'esistenza vera, un essere individuo differenziato dall'ammasso di piattume indistinto circostante. Una sintesi perfetta della condizione di chi è innamorato.

L'amore consente di uscire da un certo modo di sentire e di pensare, di percepire l'amato come un essere assolutamente unico e irripetibile, di percepire gli abituali schemi attraverso i quali la nostra esperienza passata ci fa decodificare il presente, come luoghi soggetti a tutte le possibilità del divenire.

Lisa diventa Anomalisa, perché diversa da tutti gli altri, quindi incantevole anomalia, in un sistema in cui l'ordinarietà del tutto, che si ripete uguale a se stesso, non lascia spazio al pulsare vitale.

All'indomani di una tenera notte d'amore, la voce di Lisa perde però la sua connotazione femminile, esattamente mentre Michael inizia a sentirsi infastidito da alcuni piccoli insignificanti gesti di lei. Nel film tutti si adattano, tutti sono uguali, tranne lui, angosciato com'è dal fatto che l'adattamento equivalga alla perdita di parti di Sé, imbavagliato dentro un narcisismo patologico.

Michael vorrebbe insegnare alla platea di gente accorsa ad ascoltarlo, ad empatizzare coi clienti, essendo assolutamente incapace di empatizzare con chiunque. Questa indisponibilità sfocia nella tendenza a semplificare, che appiattisce la realtà, sottolineata volutamente anche dai nomi delle donne della sua vita “Donna", "Bella". La solitudine, è a questo punto definitivamente intrinseca alla sua incapacità di accettare l'unicità e l'irripetibilità altrui, di poter partecipare alla complessità dell'accadere con i suoi conflitti e le sue ambiguità.

Nella conferenza conclusiva, motivo del suo viaggio, gli sentiamo dire: "Che vuol dire essere umani? ... Cercate per ogni persona con cui parlate un particolare che la renda unica e concentratevi su quello".

Cogliere il particolare che rende ciascuno speciale, da occasione straordinaria per incontrare autenticamente l'Altro, diviene a tutti gli effetti una prigione per il protagonista, che sembra vivere in una dimensione dove lo spazio e il tempo non rappresentano aspetti strutturali dell'esperienza.

La percezione deve poter essere orientata nel tempo e nello spazio, per potersi sedimentare e tramutare in sentimento consapevole. Se non vi è percezione della freccia del tempo si è condannati a vivere il loop di un perenne presente o la schiavitù di un immodificabile passato, con il risultato di svilire la sorpresa per il fluire del sentire.

Michael farà ritorno da sua moglie e suo figlio assolutamente avvinto dall'annichilente constatazione di essere di nuovo nella prigione, rifugio del suo Sé frammentato. Non è riuscito a uscire da se stesso, quel sentimento di fusione, che nel passato ha rappresentato la rassicurante percezione di essere speciale, non è approdato a un'esperienza successiva di maggiore integrazione: per poter tenere insieme i pezzi deve necessariamente mettersi al riparo dalla paura di perdersi nell'Altro. 

Ben diverso è quello che accade a Lisa, che tornando a casa, vive con tristezza la conclusione di qualcosa di bello e intenso mai vissuto prima, accompagnato però da un senso di gratitudine per quel che è stato e un sentimento di fiducia per quel che sarà. D'altro canto la gratitudine è davvero un lusso energetico, poiché comporta l'accesso a un sentire che non nega la sofferenza, non la teme per paura di andare in frantumi, anzi riconosce il dolore come innesto di trasformazione, accomodamento necessario al movimento della vita, nella sua cornice temporale in cui esiste un prima e un dopo, in cammino verso nuovi equilibri intelligenti.

Impossibile non domandarsi se non sia forse questa la vera anomalia, in un mondo in cui essere connessi agli altri perde sempre più la propria connotazione di consapevolezza agganciata al corpo. Anomalisa è stato definito "il film più umano dell'anno nonostante sia privo di esseri umani", forse proprio perché, parlare del corpo in sua assenza, permette di evidenziare in modo più efficace le dimensioni in esso contenute.

 

 

[1] Il riferimento al Flower Duet pone l’attenzione sul rapporto che intercorre tra la voce, intesa nei suoi aspetti sonori ed espressivi e la formazione - manifestazione dell’identità personale. La voce, più che la parola, racconta del sé: dice chi siamo o chi vorremmo essere; chi vogliamo presentare di noi o ch” vorremmo che gli altri vedessero o credessero che noi siamo. 

 

[2] La sindrome di Fregoli  è una malattia psichiatrica con delirio di trasformazione somatica, il paziente sente di essere perseguitato da una persona che modifica costantemente il proprio aspetto per non essere riconosciuta.

 

 

 

* Psicologa, Analista Reichiana



Riflessioni sul film “Joker” di Todd Phillips a cura di Nica Raffo


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Di come la necrosi dell'empatia generi alterazioni psicologiche

Il film racconta la storia di un uomo, Arthur Miller, prima degli eventi che lo porteranno a diventare il nemico giurato di Batman.

L'obiettivo di indagare il “prima”, rispetto ad una storia già nota e raccontata molte volte, risuona molto con il modo in cui si opera in psicoterapia: si ricercano gli eventi che hanno determinato segni incisi nella struttura del carattere, per poter comprendere il modo in cui agiscono e influenzano il comportamento presente. Tuttavia a giudicare dalla sala stracolma di gente, credo che il tema del “prima” ovvero “cosa è successo per arrivare a questo” funzioni da buon attrattore per tanti, forse perché ha a che fare con l' osservare le cose da un punto di vista diverso, poter sbirciare nel mondo interiore di chi ha osato superare certi limiti, soprattutto quando si parla della vita di autori di crimini e malefatte.

Fa leva il gioco delle identificazioni con i personaggi di una storia, che lasciano emergere alcune parti dello spettatore, il quale per questo, patteggia per uno, piuttosto che per un altro, a seconda della dimensione del proprio se che vi entra in risonanza, ma non solo.

La possibilità di osservare come il passato agisca sul presente e sul futuro, unire i tasselli di una storia con il filo rosso del tempo, restituisce significato, e non c'è nulla che l'essere umano aneli maggiormente che poter dare un senso a quanto gli accade e a quanto lo circonda.

Sino ad ora sullo schermo è stato rappresentato il punto di vista di Batman, determinato a dare la caccia ai malviventi. Lettori ed appassionati probabilmente vedono nella figura del supereroe la realizzazione della fantasia del bene che trionfa sul male; le sue gesta suggeriscono che anche insospettabili uomini comunissimi, possono celare identità grandiose e offrirsi come esempio, tramite le loro azioni incredibili. Si strizza l'occhio al desiderio di riscatto, al narcisismo, ora dello spettatore ora del lettore e allo stesso tempo, si manda un messaggio educativo : “ rispetta le regole, fai il tuo dovere, sacrifica il tuo interesse personale e sarai speciale”.

Il sacrificio del proprio bene personale, in favore della giustizia è spesso centrale, offerto come la più nobile delle ambizioni. Il concetto di giustizia, appare quasi come fosse un'entità suprema, fornita di un'anima sua, non ne viene messo in discussione l'impianto strutturale, al punto che spesso la legge e la giustizia appaiono quasi come la stessa cosa.

Eppure non lo sono.

A lungo il cattivo della situazione è stato mostrato solo dal punto di vista di chi lo combatteva, mentre qui il crimine viene descritto come qualcosa di più complesso dell'orrore e della condanna che suscita, in un modo tale per cui le atmosfere, i luoghi, le epoche storiche, le geografie che accompagnano la sua messa in scena divengono a tutti gli effetti attori della sua trama. Il bene per un certo individuo è diverso dal bene per un altro, posto che per entrambi compierlo, rientri nella realizzazione del proprio se. Alcuni individui sono, tuttavia e per così dire, agevolati nel compiere il bene rispetto ad altri, perché questa scelta non comporta grossi conflitti. Diverso è dover scegliere se patire o non rispettare la legge e patire di meno.

La legge stabilita da chi? Il bene per chi? Qui il protagonista, pur circondato da un contesto di miseria economica e relazionale, si adopera come può per rispettare “la legge”, sino a quando gli eventi precipiteranno e non sarà più poi così chiaro “quale legge” rispettare, lasciando emergere la questione dell'odio di classe, in tutta la sua cruda attualità.

Siamo nella Gotham City del 1981, Arthur Fleck ha un lavoro come clown, vive con l'anziana madre, Penny, ed ha un disturbo neurologico che in momenti di forte tensione emotiva gli provoca un riso incontrollabile, elemento che nella caratterizzazione del personaggio principale, non può non suscitare interesse clinico.

Viene spontaneo domandarsi: quali eventi della storia di quest'uomo si sono strutturati in modo da realizzare un sintomo del genere?

La madre sembra aver avuto un ruolo importante in questo, poiché è solita ripetergli che è nato per portare la gioia nella vita degli altri, ed Arthur si occupa di lei in toto, mantenendola economicamente, dandole da mangiare, e sbrigando alcune commissioni per suo conto. Potremmo dire che il ragazzo realizzi il progetto narcisistico della donna, in una relazione in cui sostituisce il “padre” che non c'è.

Il tema è sottolineato in alcune scene in cui vediamo il protagonista imboccarla, mentre il figlio non viene mai mostrato alle prese con il cibo, non mangia insieme a lei, anzi appare piuttosto magro, spigoloso, spesso avvolto dal fumo della propria sigaretta, come se questa fosse il suo unico nutrimento.

La problematica “neurologica” dell'uomo si manifesta quasi come una possessione demoniaca, in cui il posseduto ingaggia una lotta intestina con la parte che vuole soverchiarlo, cercando di opporvi resistenza. Il fragore di quelle risate è percepito come distonico rispetto alle proprie emozioni da Arthur, difatti il suo contrapporsi a quelle risa (che si innestano sull'asservimento al progetto materno) produce degli spasmi fisici, quasi una torsione dell'anima, che tenta di contrapporsi al dictat materno. In questo la prova attoriale di Joaquin Phoenix è davvero superba, poiché quegli spasmi sembrano davvero delle isolette di autenticità minuscole, in uno sconfinato mare in tempesta. In quegli spasmi c'è tutta la disperazione dell'impossibilità a scegliere, lo scivolamento senza via di scampo verso qualcosa che mangia da dentro l'affermazione del vero se del protagonista.

Nel corso della storia scopriremo che quella che ha sempre considerato sua madre l'ha adottato, che la donna ha dei gravi problemi mentali, e che la sua condotta ha fatto si che lui venisse maltrattato e abusato da un suo partner, quando era ancora un bambino.

Penny, nella sua confusione mentale, si è convinta che il padre del bambino da lei adottato, fosse Wayne, facoltoso uomo d'affari candidato sindaco, alle cui dipendenze aveva lavorato in gioventù ed a questi scrive numerose lettere, affinché li aiuti economicamente

Inizialmente Arthur crede di poter esserne realmente il figlio e si reca a casa sua per potere avere un chiarimento. Incontrerà così il piccolo Bruce Wayne, un bambino piuttosto anonimo, annoiato e molto solo. In questi brevi momenti nei quali pensa che possano essere fratelli, tra i due c'è una specie di contatto, interagiscono ognuno da dentro la propria solitudine, come se si riconoscessero per qualcosa che li accomuna.

Il legame Batman / Joker per qualche momento è così profondo da rischiare quasi di somigliare a un legame di sangue, e infondo questo passaggio bene si presta a sottintendere che le identità segrete che assumeranno in futuro, nascono entrambe dalla “perdita del padre” e sono caratterizzate dal modo in cui i due riempiranno la mancanza lasciata da questa figura.

La visione del mondo di Wayne è basata sull'assioma povertà = criminalità; non a caso è dipinto come difensore degli interessi dei privilegiati e sostenitore dei tagli alla spesa sanitaria, che estromettono dall'accesso al sostegno psicologico i ceti più svantaggiati. Egli disprezza e rifiuta l'esistenza dei derelitti così come rifiuta la paternità di Arthur. Eppure proprio questo rifiuto può essere considerato il motivo della sua paternità di Joker, il clown figlio di nessuno, umiliato e deriso da tutti che, uccidendo Thomas Wayne, a sua volta, determinerà la nascita di Batman.

I due avranno fatto la loro riparazione al vuoto lasciato dalla figura paterna, uno rispettando la Legge, l'altro, inevitabilmente, trasgredendola.

L'impossibilità di proseguire le cure psicologiche, il disprezzo e il rifiuto che percepisce intorno a se, la scoperta dei traumi del passato, l'infrangersi del sogno di riscatto, accarezzato fantasticando di diventare un cabarettista come il suo idolo, il presentatore televisivo Murray Franklin, assottigliano l'esile filo che tiene ancora coeso il se di Arthur. Scoprire la verità sulla madre e di essere cresciuto nella menzogna, di essersi messo al servizio del progetto di qualcuno che ha abusato del suo amore, conferiscono al fumo di tutte quelle sigarette una connotazione più oscura e terribile: la totale assenza di radici, di figure di riferimento positive o genuine, sono state come un seno privo di latte: nessuno l'ha davvero nutrito. Per tutta la sua vita non ha fatto altro che ingoiare fumo, poiché fumosa è la sua intera esistenza. Solo quando ne prenderà coscienza reciderà definitivamente quel filo uccidendo Penny in ospedale.

A quel punto lo spasmo nella sua risata, scomparirà : nessuna parte di lui vi si metterà di traverso, ma non ci sarà più nessun Altro da compiacere, solo una reiterata esternazione della propria rabbia distruttiva. Eppure la scena finale in cui lo vediamo danzare lasciando impronte insanguinate non si conclude con la rappresentazione della grandiosità finalmente raggiunta, alla quale pochi secondi prima della fine del film si strizza l'occhio.

A mio parere il senso del film sta tutto dentro l'ultima inquadratura che non vuole suggerire che appianando il conflitto tra il riso irrefrenabile e gli spasmi ( falso se,  vero se), l' uomo abbia smesso di subire liberandosi dai freni inibitori rappresentati dalle proprie emozioni, guadagnandosi l'agognata acclamazione pubblica.

L'ultima immagine che il regista ci offre è quella di un uomo che fugge in modo clownesco, mentre infermieri/guardie lo inseguono. Non vi trovo l'esaltazione di un vincitore. Per questo non credo che il film racconti della rivincita di un “ultimo”, ma piuttosto di come la struttura identitaria di un uomo sia stata deformata dal contesto, come la totale mancanza di relazioni qualitativamente valide e l'individualismo selvaggio che ha incontrato, l'abbiano resa paradossale, grottesca e che questa linea narrativa nascosta sia il reale motivo del successo del film.  

Ho l'impressione che raccontare di come la necrosi dell'empatia generi alterazioni psicologiche, sfaldamento identitario e patologia, sottolinei ancor di più la responsabilità odierna di adoperare le conoscenze acquisite sul funzionamento della psiche e sul ruolo delle emozioni nello sviluppo degli individui, affinchè si consenta a tutti di vivere dignitosamente la propria esistenza.